Sant'Andrea di Conza 7 Giugno 2019. 

Importante scoperta archeologica a Sant’Andrea di Conza.

Ritrovato un corredo funebre di un principe osco-sannita vissuto tra il IV e il III sec . a. C. .

L’associazione archeologica Archeoclub Jonathan, di Sant’Andrea di Conza, negli ultimi anni si è dedicata e si dedica, tuttora, alla raccolta, alla conservazione e alla pre-inventariazione sia di reperti archeologici, che dell’arte contadina. Da questo materiale, raccolto in questi ultimi anni e, che ora è depositato in alcune sale site nell’antico castello di Sant’Andrea e attualmente sede del Comune, l’amministrazione comunale, l’associazione, e con la Soprintendenza, hanno deciso di allestire, in data da destinarsi, una mostra archeologica ed etnografica.

Durante la sistemazione e la pre-inventariazione di questi materiali, fatta dal sottoscritto, sono stati rinvenuti, in uno scatolone, alcuni manufatti in ceramica, facenti parte della cosiddetta collezione Vallario che, momentaneamente, era stata lasciata in custodia per essere allestita nella mostra. Dopo avere analizzato, attentamente, il materiale, ho scoperto con stupore di avere tra le mani reperti che, testimonianoo una eccezionale scoperta archeologica.

Questi reperti fanno parte di un corredo funerario che, come mi ha accennato il proprietario della collezione, fu rinvenuto qualche anno fa e in modo fortuito dal padre mentre estraeva l’argilla in una cava situata appena fuori l’abitato di Sant’Andrea, in territorio lucano, ed è stato tenuto per anni rinchiuso in soffitta (vedi foto 1).

Foto 1

Questo corredo funebre, costituito da vasi da derrate e ceramica a vernice nera usata nei simposi e al consumo di vino, in base allo studio dei reperti, doveva appartenere a un esponente dell’aristocrazia terriera con ruolo principesco appartenente all’ethnos dell’ antica Cultura detta di Oliveto-Cairano che prende il nome dai primi due siti esplorati e indagati negli anni 60 e 70 del secolo scorso. Con il nome di Cultura di Oliveto-Cairano s’identifica un’antica popolazione, nostri antenati, che agli inizi del I millennio a. C. sconvolse il quadro storico della Campania e del comprensorio irpino e che senza motivo apparente intorno al V-IV sec. a. C. scomparve senza lasciare tracce. Essa era costituta da genti che, provenienti dall’Illiria, sbarcarono sulle coste della Daunia, intorno al XI sec. a.C., e di li risalendo il corso dell’Ofanto, occuparono il territorio circostante con piccoli insediamenti sparsi messi su alture in prossimità di corsi d’acqua. Una volta arrivati alla Sella di Conza, si spostarono a ovest, raggiungendo le fonti del fiume Sele per poi espandersi nella valle, fermandosi a ridosso dei monti Picentini. Questa corrente culturale è identificabile e si caratterizza in base ai ritrovamenti archeologici, che sono datati dalla prima Età del Ferro fino ai primi anni del V sec. a. C. La maggior parte delle evidenze archeologiche, scoperte nel comprensorio irpino, è costituita da corredi funebri provenienti da tombe isolate o necropoli che presentavano una certa omogeneità nel rituale e nel cerimoniale funebre delle popolazioni che dimoravano nel territorio, le quali, forse, vengono identificati con gli Opici-Osci della tradizione letteraria o con i Micenei omerici. La maggior parte delle evidenze archeologiche, oltre a quelle provenienti dalle prime necropoli scoperte a Cairano e Oliveto Citra, si sono aggiunte nel corso degli anni quelle di Ariano Irpino, Avella, Baiano, Bisaccia, Calitri, Casalbore, Conza della Campania, Lacedonia, Manocalzati, Monteverde, Morra de Sanctis, San Nicola Baronia, Savignano Irpino, Scampitella, Solofra, Trevico e per ultime Pescopagano e Sant’Andrea di Conza: quest’ultima individuata dall’archeologo Johannowsky. Dalle analisi delle evidenze archeologiche nel X-IX sec. a. C. le popolazioni praticavano una economia di sussistenza, dedicata alla pastorizia e poi all’agricoltura, e stabilizzarono, dopo l ’VIII sec. a. C. I loro insediamenti disponendoli lungo importanti vie trasversali che collegavano le valli fluviali del Sele e dell’Ofanto, con la Campania meridionale, la Daunia e l’Adriatico, che li portarono ad avere contatti con nuove culture e genti diverse. Nella prima fase, il nucleo sociale era privo di differenzazioni sociali, ed è evidenziato nei corredi funebri uguali sia per la donna che per l’uomo, infatti nelle tombe a fossa, oltre ai morti, che venivano seppelliti in posizione supina, venivano introdotti pochi oggetti essenziali, come le spille e poche forme vascolari, che venivano fabbricate a mano; una produzione domestica interna al gruppo familiare: anforettte, brocche, e alcune ciotole. Nell’ VIII secolo, a queste forme vascolari, se ne aggiunsero altre: lo scodellone, il boccale, l’askos, il kantharos, la brocca e la grande olla globulare; quest’ultima, come nel nostro caso, assurge ad elemento simbolo del potere economico della famiglia, la quale, deposta ai piedi del defunto, simboleggiava l’assunzione del potere da parte dell’uomo a danno della donna. Inoltre, il ritrovamento di forme vascolari, e di oggetti ornamentali da guerra, importati da alcune regioni limitrofe, testimonia che nelle popolazioni ci fu un aumento di ricchezza e benessere sociale, che continuò fino al VI sec. a. C., quando, la nascita di un gruppo sociale emergente, diventato tale sfruttando le potenzialità economiche derivate dalla nuova situazione, che elevandosi a capo della comunità, segnerà l’ultimo atto politico prima della definitiva e misteriosa scomparsa.

Ritornando al nostro corredo funebre, esso è importante dal punto di vista cronologico, perché il materiale ceramico, che è datato oltre tale data, testimonia l’ ultima presenza materiale di questa civiltà, e la loro analisi, potrebbe darci nuove informazioni utili a scoprire le cause della loro scomparsa. Analizzando le forme vascolari e confrontandole con altre similari sono riuscito a dare un quadro sociale generale del defunto e la cronologia storica in cui è vissuto.Tra le varie forme presenti nel corredo, l’unica che collega e identifica il corredo alla Cultura di Oliveto-Cairano è l’olla globosa biansata in argilla, che viene identificata per le tipiche anse a tortiglione uniche nel suo genere, e la forma a palla, mentre le altre sono tutte di importazione (vedi foto 2). Essa, di fabbricazione locale, si presenta con un fondo piano profilato, un corpo globoso, e un largo e basso collo cilindrico distinto, che termina con un labbro indistinto, e aveva come funzione quella di contenere derrate alimentari, e si trovava in magazzini appartenenti a personaggi facoltosi che si erano arricchiti con il commercio e gli scambi.

Figura 2 Olla globosa

Quest’ olla, trovata unita a forme vascolari di importazione, come la ceramica a vernice nera, presente nel nostro corredo, che veniva usata nei simposi: kilix, piccoli piatti, coperchi, coppette, oltre ad essere segni della potenza economica e sociale del defunto, come nel nostro caso, sono anche i tipici segni della ricchezza agricola, ed indicava che il defunto apparteneva a un rango eccezionale: princeps gentis.La stessa funzione l‘aveva anche l’altra olla globosa, chiamata in gergo spagheion, la quale proveniva, però dalla Daunia attraverso il commercio e i contatti con la vicina area melfese (vedi foto 3).

Figura 3 Sphagheion di provenienza dauna.

La forma vascolare presenta un orlo a imbuto, corpo globulare schiacciato ai poli, mentre il fondo è piatto. Le anse orizzontali sono semianulari a nastro ingrossato, oblique verso l’alto, impostate sulla massima espansione, e alternate a due appendici plastiche semilunate. La decorazione presenta fasce di colore bruno e rosso, nelle quali s’identificano linee a zig-zag, puntini etc., e furono commercializzate tra il VI sec. a.C. e il IV sec. a. C. La kilix a vernice nera, cosi come le altre forme: la coppetta a basso piede, il piatto, lo skyiphos sono forme che erano usate nei banchetti, come contenitori di vino e pietanze che denota una singolare ibridazione tra concezioni greche e usi funerari tirrenici. Questo corredo funebre rifletteva l’immagine delle elites locali, che si riconoscevano dalle quantità e dalla qualità dei materiali depositati durante il rito funebre, o come in altri casi dalle ricche e vistose vesti riccamente ornate di spille in bronzo e ferro, armi in bronzo come le spade, le lance e i coltelli, attestanti la raggiunta ricchezza assicurata attraverso lo scambio e il commercio del surplus della produzione e dell’insediamento dal quale emergevano ma, la ricchezza, che portò disuguaglianze sociali, fu anche la causa delle guerre che portò forse alla loro estinzione? Il grande archeologo Bailo Modesti che scopri a Cairano tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, l’unica cittadella di questa cultura, scrisse che <<Qualunque sia stata la sorte per queste popolazioni dal punto di vista dell’ethnos è comunque certo che quella che viene definita "Cultura di Oliveto-Cairano", individuata attraverso i suoi aspetti originali e fortemente caratterizzanti, che si sviluppano con coerenza nello spazio di almeno cinque secoli, scompare, senza lasciare traccia né sui luoghi della sua tradizione, né altrove>>

 

    Andrea Ricciardiello
   
   
     
     
     
     
     
     
   

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