![]() Il Ritrovamento di una nuova tomba apre nuovi scenari sulla sua misteriosa scomparsa.Ethnos della Cultura di Oliveto – Cairano.
di Andrea
Ricciardiello - 30
Luglio 2024
Anni 80, siamo in una cava d’argilla in località Fontana dell’ Orso nel tenimento di Pescopagano, a poca distanza da Sant’Andrea di Conza, quando, durante i lavori di scavo, alcuni operai, smuovendo alcuni blocchi di pietre, portarono alla luce qualcosa di sorprendente: una nicchia al cui interno si intravedevano manufatti d’argilla e di ceramica. Un operaio, al contrario dei colleghi che volevano lasciarli sul posto, decise di portarseli a casa. Il destino, però, volle che lo stesso venisse a mancare subito dopo, e del materiale se ne persero le tracce fino a quando il figlio, a distanza di circa 30 anni, per puro caso li trovò relegati in cantina portandoli alla luce scoprendo dopo che aveva tra le mani un tesoro di inestimabile valore. L’eccezionale scoperta Inizialmente, una volta analizzato il contenuto, non rendendosi conto del loro valore li diede in comodato d’uso all’Associazione archeologica Archeo Club Jonata di Sant’Andrea di Conza che, in quel mentre, insieme allo stesso stavano allestendo, in collaborazione con il Comune e della Soprintendenza, una mostra archeologica - etnografica nelle sale dell’antico fortilizio vescovile: era la primavera del 2018. Dalle analisi, fatte sui reperti, si scopri, poi, che essi erano inerenti a un corredo funebre appartenente a un esponente dell’aristocrazia terriera di sesso maschile con ruolo principesco vissuto circa 2400 anni fa. L’analisi dei reperti Tra i vari reperti, tutti di eccezionale fattura, e finemente lavorati, che sono stati analizzati e che ha portato a questo risultato, cito, oltre ai due piatti con piede ad anello, un frammento di skyphos con piede a disco, un frammento di presa tronco conica con scanalature datate tra il IV e il III sec. a.C., alcune forme vascolari come in particolar modo la splendida kilix, di produzione campana, datata tra il IV e il III sec. a.C., interamente verniciata a vernice nera lucente con riflessi metallici, che presenta sullo fondo stampigli ovali radiali con palmette unite ad archi di cerchio cordonati (vedi fig. 1). A questa fece seguito l’analisi di un’olla globosa, datata tra il VI e il IV sec. a.C., chiamata in gergo spagheion, la quale proveniva, però dalla Daunia attraverso il commercio e i contatti con la vicina area melfese (vedi fig. 3). La forma vascolare presenta un orlo a imbuto, corpo globulare schiacciato ai poli, mentre il fondo è piatto. Le anse orizzontali sono semianulari a nastro ingrossato, oblique verso l’alto, impostate sulla massima espansione, e alternate a due appendici plastiche semilunate. La ricca decorazione presenta delle fasce orizzontali di colore bruno e rosso, nelle quali s’identificano linee a zig-zag, puntini che vanno a formare cerchi. Un altro interessante reperto è una brocchetta monoansata a impasto di colore nerastro (vedi figura 4) che presenta una superficie levigata e lustra ed è decorata con solcature orizzontali parallele al cui interno sono presenti solcature a dente di lupo. L’ansa a bastoncello è impostata sulla massima espansione e presenta una protome animale: forse la testa di un lupo. Il manufatto dovrebbe essere datato intorno al IV sec. a. C. Il defunto era un princeps genti Tra gli altri reperti analizzati, inoltre, si annovera anche l’olla globosa biansata in argilla (vedi fig. 2) che dall’ analisi stilistiche e fattuali ha certificato l’appartenenza culturale del corredo funebre e l’individuazione sociale del defunto. Essa, di fabbricazione locale, si presenta con un fondo piano profilato, un corpo globoso, e un largo e basso collo cilindrico distinto, che termina con un labbro indistinto, aveva come funzione quella di contenere derrate alimentari, e si trovava in magazzini appartenenti a personaggi facoltosi che si erano arricchiti con il commercio, gli scambi. Quest’olla, inoltre, insieme con quella appena descritta, trovata unita a forme vascolari di importazione a vernice nera, presente nel nostro corredo, veniva usata nei simposi insieme a kilix, piccoli piatti, coperchi, coppette, che, oltre ad essere segni della potenza economica e sociale del defunto, come nel nostro caso, sono anche i tipici segni della ricchezza agricola, ed indicava che il defunto apparteneva a un rango eccezionale: princeps genti che denota una singolare ibridazione tra concezioni greche e usi funerari tirrenici. Le anse a pseudo tortiglione a maniglia semicircolare, uniche nel suo genere, impostate sulla spalla e la forma a palla (vedi fig. 2), come confrontati in ritrovamenti in altri siti come quello di Cairano, sono tipiche di una sola Cultura che la contraddistingue dalle altre e identifica il soggetto a quella dell’Ethnos di Oliveto – Cairano. L’ethnos della Cultura di Oliveto – Cairano: migranti I progenitori di questo individuo, come da decennali studi, quindi, erano genti che, provenienti dall’Illiria, sbarcarono sulle coste della Daunia, intorno al XI sec. a.C., e di li risalendo il corso dell’Ofanto, occuparono il territorio circostante con piccoli insediamenti sparsi, messi su alture in prossimità di corsi d’acqua. Una volta colonizzato tutta l’area dell’Alta valle dell’Ofanto giunti alla Sella di Conza, si spostarono a ovest, raggiungendo le fonti del fiume Sele per poi espandersi nella valle, fermandosi a ridosso dei monti Picentini. Questa corrente culturale è identificabile e si caratterizza in base ai ritrovamenti archeologici, che sono datati dalla prima Età del Ferro fino ai primi anni del IV sec. a. C. La maggior parte delle evidenze archeologiche, scoperte nel comprensorio irpino, è costituita da corredi funebri provenienti da tombe isolate o necropoli che presentavano una certa omogeneità nel rituale e nel cerimoniale funebre delle popolazioni che dimoravano nel territorio, le quali, forse, vengono identificati con gli Opici-Osci della tradizione letteraria o con i Micenei omerici. Oltre a quelle scoperte a Cairano e Oliveto Citra, si sono aggiunte nel corso degli anni quelle di Bisaccia, Calitri, Conza della Campania, Morra de Sanctis, Teora, e per ultime Pescopagano e Sant’Andrea di Conza. La cultura materiale prima fase: uguaglianza sociale Dagli studi effettuati sulle evidenze archeologiche sappiamo che nel X-IX sec. a. C. le popolazioni praticavano una economia di sussistenza, dedicata alla pastorizia e poi all’agricoltura, e stabilizzarono, dopo l ’VIII sec. a. C. i loro insediamenti, disponendoli lungo importanti vie trasversali che collegavano le valli fluviali del Sele e dell’Ofanto, con la Campania meridionale, la Daunia e l’Adriatico, li portarono ad avere contatti con nuove culture e genti diverse. Nella prima fase, il nucleo sociale era privo di differenzazioni sociali, ed è evidenziato nei corredi funebri uguali sia per la donna che per l’uomo. Nelle tombe a fossa, oltre ai defunti, che si seppellivano in posizione supina, venivano introdotti pochi oggetti essenziali, come le spille e poche forme vascolari, che venivano fabbricate a mano; una produzione domestica interna al gruppo familiare: anforettte, brocche, e alcune ciotole. Cultura materiale seconda fase: la donna è relegata in secondo piano Nell’VIII secolo, a queste forme vascolari, se ne aggiunsero altre: lo scodellone, il boccale, l’askos, il kantharos, la brocca e la grande olla globulare che si trova nel nostro corredo. Quest’ultima, assurge ad elemento simbolo del potere economico della famiglia, la quale, deposta ai piedi del defunto, simboleggiava l’assunzione del potere da parte dell’uomo a danno della donna. Inoltre, il ritrovamento di forme vascolari, e di oggetti ornamentali da guerra, importati da alcune regioni limitrofe, testimonia che nelle popolazioni ci fu un aumento di ricchezza e benessere sociale, che continuò fino al VI sec. a. C., quando, la nascita di un gruppo sociale emergente, diventato tale sfruttando le potenzialità economiche derivate dalla nuova situazione, elevandosi a capo della comunità. Questo corredo funebre rifletteva, quindi, l’immagine delle elites locali, che si riconoscevano dalle quantità e dalla qualità dei materiali depositati durante il rito funebre, o come in altri casi dalle ricche e vistose vesti riccamente ornate di spille in bronzo e ferro, armi in bronzo come le spade, le lance e i coltelli, attestanti la raggiunta ricchezza assicurata attraverso lo scambio e il commercio del surplus della produzione e dell’insediamento dal quale emergevano ma, la ricchezza, che portò disuguaglianze sociali, fu anche la causa delle guerre che portò forse epidemie e poi alla loro estinzione. Il grande archeologo che scopri a Cairano, l’unica cittadella al mondo di questa cultura, G. Bailo Modesti, scrisse che: <<Qualunque sia stata la sorte per queste popolazioni dal punto di vista dell’ethnos è comunque certo che quella che viene definita ”Cultura di Oliveto-Cairano”, individuata attraverso i suoi aspetti originali e fortemente caratterizzati, che si sviluppano con coerenza nello spazio di almeno cinque secoli, scompare, senza lasciare traccia né sui luoghi della sua tradizione, né altrove>>. Conoscere il futuro per cambiarlo in meglio rivolgendosi al passato Ritornando al nostro corredo funebre possiamo dire che l’eccezionalità del ritrovamento non è dovuto solo all’interesse storico, archeologico, ma anche dal punto di vista cronologico. La datazione del materiale che non arriva al IV sec. a.C., come successo in altri siti dell’Alta valle dell’Ofanto, testimonia che il personaggio è uno degli ultimi rappresentanti di una civiltà che scomparve misteriosamente e che nuove analisi, anche scientifiche, potrebbero darci nuove informazioni utili a scoprire le cause della loro misteriosa scomparsa che ci aiuterebbe a evitarle in caso fossimo in eguale situazione. Ora i reperti sono conservati, insieme a tanti altri, in alcune vetrine di una mostra allestita presso la Casa Comune di Sant’Andrea di Conza, che è in attesa di essere autorizzata per aprirla al pubblico. |
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