Sant'Andrea di Conza 7 Luglio 2024.
Una storia fantastica di Andrea Ricciardiello

Siamo a Sant’Andrea di Conza ed esattamente il 7 gennaio 1742 quando, come si legge da un antico documento, in una cella della prigione del castello baronale, visitabile ancora oggi e sita subito a sx del portone d’ingresso da cui si accede al Comune, un uomo chino su un cartoncino sta disegnando la figura della Madonna dell’Incoronata. Era Erberto Antonio Gaifi, il pittore che immortalò San Gerardo Maiella attraverso un miracolo.

Lo scorso anno, con un milione di visitatori, san Gerardo Maiella è stato uno dei santi più visitato, venerato, amato del mezzogiorno d’Italia e anche uno tra i più conosciuti al mondo per i tanti miracoli. Del santo conosciamo, tramite la sua agiografia, molti dettagli della sua vita di missionario, costellata di miracoli. Mentre i lineamenti del volto ci sono noti grazie a un ritratto, un olio su tela del 1756: “La vera effige” (fig. 2), che fu realizzato, secondo le fonti, con l’intercessione divina, da un pittore considerato, fino agli anni ’60, come uno sconosciuto e mediocre decoratore di provincia: Erberto Antonio Gaifi. Ora, però, grazie al ritrovamento e allo studio di alcuni disegni, a lui ascrivibili, ritrovati, appunto, negli anni ’60 nella biblioteca della Società napoletana di Storia Patria, che promuove e pubblica gli studi specializzati di storia e storiografia del mezzogiorno, possiamo dire, con certezza, che il consistente nucleo di disegni appartengono, invece, a un eccellente pittore, che lavorò molto spesso nella diocesi di Conza dove, ancora oggi, è possibile ammirare alcune sue opere. Da fonti letterarie, come la Cronista Conzana, sappiamo che a Oliveto Citra, in provincia di Salerno, nel 1691 la famiglia Gaifi o Gaisi è documentata con un Pietro de Gaifi, mentre negli atti del Catasto Onciario del 1745 risulta un Erberto Antonio Gaifi, nato a Oliveto nel 1705, di essere sposato con due figli e che faceva il pittore. 

Non sappiamo in quale bottega compì la sua formazione artistica ma, dai suoi disegni analizzati, e a lui attribuiti, che sono 121, di cui solo 17 firmati o siglati, è stato possibile dedurre che lavorò molto anche come figurista ispirandosi alla conoscenza della grande tradizione dei pittori rinascimentali, del Barocco e suoi contemporanei, che avevano operato soprattutto tra Roma, Napoli e Bologna, prendendo a modello, e prediligendo le opere di Michelangelo, Annibale Carracci, Guido Reni, Andrea Sacchi, Giovanni Lanfranco, Corrado Giaquinto, Francesco Solimena, Maratta e Benaschi. Sappiamo, inoltre, che assimilò esperienze molto diverse, già in giovanissima età, testimoniato da alcuni disegni realizzati nel 1719, a solo 14 anni, e nel 1720, quando  il 13 giugno si attesta la sua presenza a Calitri, dove riproduce l’immagine di Cristo, della Vergine e di alcuni cherubini, dal dipinto della Deposizione presenti nella chiesa del Monastero dell’Annunziata. Da allora, l’attività di Gaifi divenne sempre più intensa, lavorando senza sosta in opere strettamente religiose. Nel 1732, il ritrovamento, avvenuto qualche anno fa, nella sagrestia della Chiesa parrocchiale di Oliveto Citra, intitolata a Santa Maria della Misericordia, di alcune tele, datate e firmate a suo nome, confermano la sua presenza, in quell’anno, nel suo paese natale. Il terremoto del 1732, che colpi duramente e danneggiando molti centri della diocesi di Conza, causò la consequenziale mancanza di offerta lavorativa, costringendolo, momentaneamente, a trasferirsi in cerca di lavoro fuori provincia o all’estero. Il 22 maggio 1737, infatti, era a Napoli a copiare dei dipinti, di cui uno eseguito da Francesco Solimena per la Chiesa napoletana dei Gerolamini, due alla Certosa di San Martino, dove copiò la Madonna dipinta da Jusepe de Ribera e il ritratto di san Bruno, mentre, il 25 maggio  lo troviamo a Roma a copiare la morte di sant’Anna di Andrea Sacchi nella Chiesa di San Carlo ai Catinari, il martirio di sant’Andrea di Guido Reni, conservati nella Chiesa di San Gregorio Magno, e alla cappella Sistina, dove copia l’immagine di san Pietro, dipinta da Michelangelo nel Giudizio Universale.  Sempre di questo periodo è un altro disegno di Gaifi su cui si raffigura al cavalletto, in abbigliamento e posa, molto somiglianti all’autoritratto di Annibale Carracci, conservato a Brera, in cui sul disegno è possibile vedere un uomo barbuto di mezza età con i capelli ricci e la corporatura robusta. Tra i moltissimi disegni ci sono, inoltre, molti preparatori per affreschi e dipinti, che riproducono scene sacre e figure di santi venerati al Meridione, e soprattutto nelle diocesi di Conza, usati sicuramente nella ricostruzione post sisma del terremoto del 1732, e che accertano il suo ritorno a casa. Tra il suo vasto repertorio segnalo san Vito, san Giacomo, san Rocco, santa Lucia, san Vincenzo Ferreri, la Madonna del Soccorso, santa Monica, ai quali vanno aggiunti i numerosi personaggi sacri come la Vergine del Rosario e di altri santi domenicani, che disegnati in una grande varietà di atteggiamenti, conferma l’abilità dell’artista nell’organizzare composizioni pittoriche di media e grande dimensioni. Uno di questi, un olio su tela restaurato nel 2006, è visibile presso la chiesa di Santa Maria della Misericordia di Oliveto Citra, che reca la firma E. Gaifi, 1740 (fig. 1). Un ampio tendaggio, sollevato ai lati da due putti svolazzanti, si spalanca per invitarci ad assistere alla scena dove vediamo san Domenico che riceve il rosario dalle mani della Vergine, messa in primo piano, affiancata alla sua sx da santa Caterina da Siena che accarezza il Bambino Gesù, che gli pone delicatamente il Rosario tra le mani, mentre ai piedi della santa, alcune donne confabulano. Forse, sant’Anna, e santa Elisabetta con in braccio un irrequieto san Giovannino. I personaggi, inseriti in una rigida costruzione piramidale, dominata in alto dalla Vergine, si trovano in un complesso gioco di sguardi diretti che costruisce relazioni affettuose e intime tra le figure. Il pittore raccorda le raffinate corrispondenze formali di un’infinita serie di ritmi sinuosi, incessantemente annodati e disciolti, in superficie, che denotano una sua alta conoscenza dell’arte rinascimentale, cui si era ispirato. Nel 1742, sicuramente, come abbiamo accennato pocanzi, era a Sant’Andrea (di Conza), attestato da un disegno con l’effige della Madonna dell’Incoronata, che è, ancora oggi, molto venerata nella chiesa a lei intitolata situata a valle del paese, che venne costruita proprio in questo periodo, dove su uno di essi è scritto <<Nella mia cella in Sant’Andrea, 7 gennaio 1742 >>. Cella da identificarsi con una di quelle presenti nelle antiche carceri criminali del castello arcivescovile, dove, per l’appunto, sull’intonaco del muro di una di queste, sono stati individuati anni fa, dei graffiti indicanti vari nomi di carcerati, poco leggibili, e la data del 1766. A tale proposito, una splendida tela anonima del ‘700 della Madonna del Purgatorio, ora esposta nella sagrestia della Parrocchia di San Domenico a Sant’Andrea di Conza, (fig. 3), ha molte affinità con la tela della Vergine del Rosario di Oliveto Citra di Gaifi. L’angelo sulla sx, i putti in alto, la disposizione a piramide e soprattutto il braccio teso e la mano sinistra con l’indice aperto di Gesù bambino, infatti, sono identici a quelli del disegno di san Pietro che aveva copiato nel Giudizio Universale di Michelangelo della Cappella Sistina a Roma (figg. 4 e 5), il 25 maggio 1737, dimostrando che le opere sono tutte e due  del pittore Gaifi.

Il miracolo

Ritornando a san Gerardo, sappiamo da un’agiografia ottocentesca, che il pittore incontrò il santo per la prima volta mentre lavorava alla decorazione della Chiesa di Materdomini e, in seguito, nel 1755, nella casa a Caposele, dove risiedeva subito dopo l’aggravarsi del suo stato di salute. Qui gli avrebbe prodigiosamente rivelato la morte del padre dell’Arciprete Salvatori, cosa che avvenne subito dopo la partenza dell’artista dal suo paese natale. L’arciprete era lo stesso che riferì di aver visto il santo, nell’estate del 1755, quando era stato suo ospite a Oliveto, levitare in estasi mentre abbracciava il Crocefisso. Si legge sempre nell’agiografia che, dopo la morte del santo, avvenuta nel 1755, Gaifi, dopo avere ricevuto l’incarico di eseguire il ritratto, nonostante avesse conosciuto dal vivo il giovane missionario, dopo molti tentativi, non riuscendo a ottenere un’immagine del santo in modo soddisfacente, pensò di rinunciare all’incarico. Fu solo dopo che, invocato san Gerardo, dal padre Rettore Cajone, si attestò all’orecchio del pittore una voce divina, che gli sussurrò, sorreggendogli la mano, come regolare il pennello. Ne uscì un olio su tela che, ancora oggi, dopo 268 anni, viene  replicato in migliaia di copie ed esposto alla venerazione di milioni di fedeli. Il ritratto del Santo, rapito nell’estasi, con il crocefisso tra le mani, è freddo e distante e ha un’espressione attonita e rapita. Lo sguardo, con gli occhi rivolti verso il cielo, ha un’espressione che sembra creare un contatto diretto con Dio. La quieta grandiosità, dell’atteggiamento, calmo e severo, e delle espressioni mostra un segno di nobiltà d’animo. Lo stile del dipinto neoclassico è caratterizzato perciò dalla contenuta drammaticità della scena, dalla nobile semplicità e dell’armonica composizione, dal contorno nitido del disegno potenziato dai chiaroscuri che, presentandosi a favore di una vibrante stesura pittorica, è rivelatrice di un messaggio. Messaggio indirizzato a tutti gli uomini, in cui ognuno di noi, metaforicamente parlando, abbiamo la possibilità, seguendo l’esempio del santo, di trovare la strada, un ponte per arrivare a Dio, e scuotere le coscienze attraverso i nostri stili di vita, vivendo con austerità, severità, semplicità, avendo cura degli afflitti, dei poveri: sacrificarsi al prossimo, secondo l’insegnamento e/o l’esempio di Cristo, abbracciando ognuno la propria croce. San Gerardo, quindi, fu proposto a rappresentare simbolicamente la Chiesa di Roma, contrapponendola a quella che, pensava di impressionare, stupire ed emozionare e coinvolgere i fedeli e riavvicinandoli al cattolicesimo opulento attraverso lo sfarzo artistico delle chiese barocche del ‘6-700. L’artista, quindi, ha voluto mettere in risalto un messaggio universale tipico del romanticismo. Infatti, la dimensione passionale della figura del santo, emana una veemenza che è tipico dell’animo romantico, cui l’arte e la poesia avevano il compito di sottrarre l’anima all’indifferenza verso i mali del mondo: soprusi, ingiustizie, provocare momenti di effervescenza emotiva grazie a immagini metaforiche, o tramite una finzione riuscita. Per tali ragioni la rappresentazione artistica doveva intensificare i propri mezzi espressivi, diventare più veemente o più delicata, esprimere l’agitazione, il piacere, il turbamento. L’immagine doveva colpire per la sua efficacia comunicativa e per il suo contenuto narrativo, simulando un momento patetico, una scena licenziosa, doveva ispirare allo spettatore uno slancio analogo, una risposta commossa o compiacente. L’arte doveva dunque provocare emozioni e conquistare uno spazio specifico, autonomo, nel quale avessero campo le passioni, gli elementi umani, non riducibili alla razionalità scientifica, con funzioni di conoscenza e riscatto sociale, e far riconoscere a ogni uomo la propria dignità. Possiamo dire che, sicuramente, il pittore, inconsapevolmente, incarnando tutto ciò nella figura reale del santo e della sua vita reale fa sue caratteristiche queste, tipiche di quel movimento ideologico e culturale, di cui forse divenne il precursore e l’ispiratore: il Romanticismo.

Resta il mistero del perché il pittore si trovasse in una cella, e il fatto che, secondo alcuni critici d’arte, confrontando alcune opere si è accorto che Gaifi sia in realtà il pittore romano Aloisio Garzi vissuto tra il ‘600 e il ‘700. Non tutti sanno che inizialmente la tela del ritratto di san Gerardo prima di essere  mandato dalla congregazione alla commissione, che stava avviando la causa di beatificazione del santo, era stata firmata a nome proprio di Garzi e non di Gaifi.

   
 
     
     
     
     
     
     
     
     

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