Sant'Andrea di Conza 1 Ottobre 2024.
Compsa, l’Irpinia e la caduta degli dei? Il sarcofago, che tuttora contiene le spoglie di Sant’Erberto, si trovava, prima del sisma dell’80, presso l’antica cattedrale, mentre, attualmente è esposto nella nuova, sita nei pressi della piazza del nuovo insediamento di Conza. Nel corso degli anni gli studiosi hanno datato il manufatto tra il IX e il XIII secolo d.C.. Alcuni studi inediti, invece, ipotizzano che il sarcofago sia, invece, datato tra il II-III secolo d.C., importato direttamente dall’Africa ed eseguito e rifinito da mastri scalpellini provenienti dalla Libia sotto l’impero romano.
Il sarcofago Il sarcofago, definito a cassone parallelepipedo, è costituito da una semplice cassa liscia, priva di decorazioni, ad eccezione di quelle presenti su un lato lungo che è decorato con una scena, incorniciata, suddivisa a sua volta in medi e piccoli lotti in cui si vedono uccelli intenti a beccheggiare su una pianta che si presenta con ampi girali, mentre nel registro inferiore si notano 5 fiori a 8 petali inscritti in un quadrato e figure geometriche. La cassa di pietra calcare misura cm. 216 di lunghezza, 69 cm. di larghezza e 66 in altezza, mentre, il pesante coperchio a doppio spiovente con frontone, ha un’altezza di circa 30 cm., ed è decorato con bassorilievo, anch’esso incorniciato, rappresentante ampi girali di vite che si snodano sull’intero coperchio, e con pseudo acroteri angolari decorate con palmette di loto, mentre il bordo inferiore, che sta a contatto della cassa, presenta una sobria decorazione che riprende un elemento dell’ordine classico del tempio greco: il kyma ionico che sicuramente era stato progettato per un membro di una famiglia dinasta. Il sarcofago trova riscontri con quello trovato nella cripta di Prata Principato Ultra, di epoca romana, come dimostra l’epigrafe presente sul lato lungo del cassone, riutilizzata poi in epoca cristiana, così come di epoca romana erano le protome leonine su cui poggiava il sarcofago di Sant’Erberto, trafugate anni fa. La storia dei sarcofagi Devo premettere che i sarcofagi romani del III secolo d.C. mostrano per lo più dimensioni considerevoli come quelli di produzione ravennate, alti anche 2 metri, che avevano, in alcuni casi, il coperchio con frontone e acroteri con decorazioni a imitazione del tetto con tegole e coppi del tempio greco-romano, a simboleggiare la nuova dimora e quindi la rinascita dopo la morte come divinità. Altri invece erano importati dall’Africa e dall’Asia Minore in cui i sarcofagi erano più bassi e di forma allungata che furono usati dalle prime comunità cristiane già tra la fine del II e i primi decenni del III secolo d.C. In questo caso i sarcofagi erano decorati con temi cristiani infarciti con elementi della cultura figurativa dell’età ellenistica con scene che furono modificate di volta in volta inserendo scene e figure tratte anche dal nuovo testamento come i tralci della vite, infatti, scolpiti sul coperchio di Sant’Erberto, che prendono spunto da questo stile e che rimandano, anche, al rito dionisiaco, in cui l’uva dopo la spremitura, muore, ma rinasce attraverso il vino, e che poi i cristiani riprenderanno come un loro valore simbolico. Nel nuovo testamento i racemi di vite, infatti, ricordano le parole di Cristo << Io sono la vite e voi i tralci>>. Lo stesso avviene per la decorazione visibile sul lato lungo del cassone dove viene rappresentata la parabola del seminatore: “..il seminatore usci a seminare. Mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada; e gli uccelli vennero e lo mangiarono. Un’altra cadde in un suolo roccioso dove non aveva molta terra, e subito spuntò, perché non aveva terreno profondo, ma quando il sole si levò, fu bruciata; e non avendo radice, inaridì. Un’altra cadde tra le spine, le spine crebbero e la soffocarono, ed essa non fece frutto. Altre parti caddero nella buona terra; portarono frutto, che venne su e crebbe..”. Nella decorazione, divisa in varie specchiature, infatti, si vede la pianta, gli uccelli, la striscia della buona terra e alcune figure geometriche che indicano le spine. Mentre, la figura a 8 petali simboleggia il sole, la luce divina che illumina e rischiara le menti e quindi la parola di Dio, la parabola.
L’Imperatore Settimio Severo e la famiglia imperiale a Compsa? A portare il sarcofago e i mastri scalpellini a Compsa potrebbe essere stato, secondo alcuni studi, l’Imperatore Settimio Severo. La tesi è nata dopo che, alcuni anni fa, fu riportata alla luce, quasi in sordina, presso il sito archeologico di Compsa, un’epigrafe romana del II-III sec. d. C., dove si legge che l’Imperatore Settimio Severo e i figli Geta e Caracalla avrebbero restaurato un tempio a Compsa a proprie spese. Questo imperatore, diventato tale nel 193 d.C. era di una antica famiglia di Leptis Magna in Africa Proconsolare di una dinastia di principi-sacerdoti di Emesa in Siria, rivela una particolare determinazione a coniugare i contenuti della tradizione con le esigenze ideologiche della dinastia divinizzata che lo espresse attraverso numerosi restauri degli edifici sacri, come a Compsa così come a Roma e nell’impero e questo per la determinazione dell’imperatore a celebrare i ludi saeculares nel 204 d.C.: abbandonando il computo tradizionale del speculum di 110 anni inaugurato da Augusto, Settimio Severo seppe far coincidere la ricorrenza con la chiusura delle celebrazioni per i decennali del suo regno. Questo portò, infatti, tra il II e il III secolo d.C., gli artisti a non lavorare più per i monumenti pubblici, ma per le dimore dell’imperatore e della sua corte, per il loro godimento individuale. Si costruirono nuove sedi imperiali: strutture cittadine, militari o rurali, che ospitarono in modo permanente o semi-permanenti gli imperatori romani e il loro comitatus di ministri, generali e familiari. Tali costruzioni erano composte da un’unità centrale e da strutture secondarie annesse, come terme, anfiteatri, zecche. La presenza di imperatori o membri della loro famiglia in un dato luogo veniva testimoniata, appunto, da epigrafi, come quella trovata a Compsa, quasi a indicarne la proprietà che poi si tramandavano, per secoli, di generazione in generazione, gli eredi. I resti dell’anfiteatro, inoltre, posto all’interno del centro urbano, testimoniano il suo uso privato da parte dell’imperatore, e questo si deduce dal fatto che, solitamente, a causa di disordini e la consequenziale spostamento di enormi masse di persone, venivano costruititi fuori dai centri urbani.
L’edificio residenziale Per quanto riguarda l’edificio residenziale, esso è stato individuato grazie alla presenza, sotto le fondamenta della cattedrale, degli affreschi del III-IV secolo d.C. di cui uno, è ancora visibile su di una piccola absidiola posta a dx appena entrati nella cripta dell’antica cattedrale che rappresentano tendaggi, mentre altri furono individuati con modalità scientifiche nelle terre sante di cui uno era visibile dal pavimento della cattedrale attraverso un pannello vetrato e che ci dimostra, in realtà, che fu costruita inglobando edifici residenziali, dopo il V-VI secolo d.C. da parte dei Bizantini. Gli edifici residenziali, tra la fine del II e con più evidenza dopo il III secolo d.C., alla morte del primo defunto, il capostipite della famiglia, come poteva essere un imperatore o qualcuno dei suoi discendenti, personaggi senatoriali o un martire della fede, si trasformarono in veri e propri sepolcri/templi, luoghi di adorazione ad uso privato. Nel nostro caso la residenza era incorporata a un piccolo sacello con abside centrale e due absidiole laterali dove trovavano posto le figure imperiali.
La necropoli La scoperta, infatti, di una serie di sepolture individuali a inumazioni entro fosse o in sepolcri che si distribuiscono fino al ‘700, individuate dopo campagne di scavi, sia all’interno della cattedrale che nelle immediate vicinanze, come quelle trovate nel foro romano ottenute con l’asportazione di basoli, o la tomba a cappuccina, coperta da tegole, e l’urna cineraria contenenti i resti di martiri e di Santo Menna, un aristocratico di origine africana, individuati nella cripta dell’ antica cattedrale, fanno pensare che successivamente alla morte di uno dei capostipiti divenne successivamente luogo privato di sepolture e poi aperto al pubblico e adibito al culto cristiano: i martyria.
I Bizantini e la nuova basilica Più tardi con l’arrivo dei bizantini questi edifici di culto si caratterizzarono poi per la pratica di sovrapporre ad una cripta, destinata a ricevere i corpi inumati in sarcofagi che, nel nostro caso e grazie agli studi, risulta essere circondata da un deambulatorio sorto con la costruzione di un muro poligonale di chiara origine bizantina che, successivamente fu colmato e rialzato andando a formare la base su cui s’innalzerà l’abside dell’arco trionfale in stile romanico che, ora, è possibile ammirarlo nei pochi resti del sito dell’antica cattedrale. La prima struttura, dell’edificio post paleocristiano, doveva avere un’abside trilobata ad unica navata, che trova riscontri in altre similari, come quella della basilica di San Martino a Calabritto, della basilica basiliana di San Ippolito a Monticchio, della Chiesa dell’abbazia di San Lorenzo a Pescopagano, che mantiene ancora inalterata l’abside trilobata visibile in tutta la sua magnificenza. Il sarcofago di fattura mediorientale Come abbiamo già accennato il sarcofago di Sant’Erberto secondo una tesi potrebbe essere di provenienza africana e che sia stato decorato da scalpellini arrivati sul posto al seguito dell’Imperatore Settimio Severo. Questa tesi è scaturita dopo che si è scoperto che a qualche chilometro di distanza da Leptis Magna, l’antica città romana natale dell’imperatore, ora della Libia, si trova la necropoli di Ghirza, dove sono presenti numerosi mausolei di epoca romana, che arrivano al IV secolo d.C. Analizzando e confrontando alcune decorazioni, ci si accorge, in modo impressionante, che sono identici nella forma a quelli presenti sul sarcofago di sant’Erberto che testimoniano quanto appena affermato e che cioè mastri scalpellini provenienti dall’Africa potrebbero avere restaurato, su ordine dell’imperatore, forse il capitolium, che come risulta dagli scavi, fu innalzato sui resti di un antico tempio, o un edificio templare o ancora contribuito alla costruzione di alcuni edifici nei pressi del foro romano di Compsa. Altri studi e altre ricerche potrebbero toglierci altri dubbi sulla presenza dell’Imperatore Settimio Severo a Compsa e, data la presenza di un mausoleo sepolcrale a baldacchino sul cui dado di base erano raffigurati due leoni rampanti, ancora non indagato, nei sotterranei dell’antica cattedrale, forse, anche quella di Costantino il Grande. Questa, però, è un’altra storia. Il lungo periodo, iniziato con Settimio Severo e terminato con l’arrivo di Costantino, viene definito dagli storiografi dell’angoscia che ha preceduto più tardi la caduta di Roma, i successivi secoli bui, e alla caduta degli dei. Come si legge a pag. 9 nel saggio de “L’età dell’angoscia”, curato da La Rocca, Parisi Presicce, Lo Monaco, la situazione sociale peggiorò a causa di lunghe lotte di potere, spese per la difesa, drastica contrazione di elargizioni da parte dei ceti più ricchi, mancato impegno dei politici per guadagnarsi il rispetto degli altri con le proprie azioni, portarono bancarotta, svalutazione della moneta, enormi tassazioni, bassa qualità della vita, blocco di costruzioni edili, feste religiose etc. La nostra era non si discosta molto da quella del tempo dell’Imperatore Settimio Severo e se vogliamo cambiare le sorti di chi verrà dopo di noi per evitare che cadano nel baratro dipende dalla capacità tutta della politica, da noi e dalle prossime future generazioni. |
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Andrea Ricciardiello | ||||
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